Autore: Melody Moezzi
Revisione: bpHope’s Editorial Team
Le persone con disturbo bipolare possono apparire, parlare e comportarsi esattamente come qualunque altra persona “normale”. Ma cosa significa davvero “normale”? E soprattutto, chi decide cosa è normale?
Sono abituata ai “Non sembri…”
Sono abituata a sentirmi dire che non sembro la persona che dico di essere. “Non sembri musulmana.” “Non sembri americana.” “Non sembri una femminista.” E, da quando ho iniziato a scrivere e a parlare apertamente del mio disturbo bipolare: “Non sembri pazza.”
La maggior parte delle volte riesco a mantenere la calma di fronte a tutti questi “non sembri” (che da ora chiamerò YDL, dall’inglese You Don’t Look). Tuttavia, ogni tanto capita che risponda con un mio personale YDL: “Tu non sembri stupido.” So che è una reazione infantile, ma alla lunga, certi commenti sfiancano anche la persona più paziente.
Se non avessi sperimentato in prima persona l’intera gamma di YDL, avrei davvero difficoltà a credere che qualcuno possa essere tanto maleducato o sprovveduto da dire certe cose ad alta voce. Eppure, fidatevi: queste persone esistono eccome, e non sono poche.
Osservazioni offensive
Grandi amanti dei “distintivi” inutili, spesso iniziano le loro frasi con “Non voglio sembrare razzista, ma…” oppure “Non per essere sessista, ma…”. Il mio consiglio, se incontrate creature di questo tipo, è di fuggire prima che finiscano la frase!
Ma non sempre è possibile essere così veloci. Quindi che fare?
Oltre a evitare la mia piccola, puerile vendetta (“Tu non sembri stupido”), cerco di distinguere l’ignoranza dalla malafede. Sostengo che molti, se non la maggior parte, di coloro che se ne escono con un YDL non siano mossi da cattive intenzioni.
Semplicemente non sanno. Non sanno che esistono tantissime musulmane, tantissimi americani, tantissime femministe e sì, tantissime persone con disturbi psichiatrici, che hanno un aspetto simile al mio, che parlano e si comportano normalmente. E, già che ci siamo, probabilmente non sanno neppure che il concetto di “normale” non esiste davvero.
È ignoranza o bigottismo?
Prendiamo “Jim” (nome di fantasia). È un corriere in pensione di un servizio di consegne, bianco, cristiano, americano, che afferma di non aver mai ricevuto una diagnosi di disturbo mentale. Non si rende conto del privilegio implicito nel suo colore della pelle, nella sua religione, nel suo genere e nella sua condizione di salute mentale, ma è una persona gentile, creativa, loquace ed eccentrica. Non direi che sia socialmente consapevole, ma neanche razzista, sessista o affetto da qualsiasi altro “-fobo” o “-ista”. In breve, è un essere umano decente.
La prima volta che ho incontrato Jim, amico di un mio amico, sapeva già qualcosa di me, compreso il mio disturbo bipolare. Dopo alcune domande su quello che lui continuava a chiamare “psico-maniacale” (usando ancora il vecchio termine “manic-depression”), mi ha guardata fisso negli occhi e mi ha detto un classico YDL: “Non per offenderti, ma sembri così normale.” In più, mi ha informato che secondo lui non potevo avere una diagnosi di disturbo mentale.
Non era la prima volta che sentivo qualcosa del genere, ma ciò che distingue Jim era la sicurezza assoluta nella sua valutazione. Dopo meno di un’ora di conversazione — e con un bagaglio di conoscenze mediche pari a quello offerto da un’azienda di consegne ai suoi dipendenti — già mi consigliava di smettere di prendere i miei farmaci.
Sapere quando abbandonare un confronto
Avrei potuto passare tutto il pomeriggio a discutere con lui e, in altre circostanze, forse l’avrei fatto, nel tentativo di informarlo. Ma ho percepito qualcosa di familiare nel suo modo di fare: nella storia di problemi mentali in famiglia che mi aveva raccontato, nel suo modo di parlare frenetico, nella grande quantità di hobby strani e nella sfilza di ex mogli.
Quando abbiamo finito (o meglio, quando io mi sono sottratta al suo monologo), ho maturato il sospetto che la sua idea di “normalità” — e la sua convinzione che io fossi “troppo normale” per avere un disturbo bipolare — avesse più a che fare con se stesso che con me. Proprio come un predicatore televisivo omofobo che nasconde la sua omosessualità, la foga di Jim non era altro che un goffo tentativo di celare una battaglia interiore più grande, che non aveva nulla a che fare con me, nonostante la sua proiezione.
A differenza di Jim, io da tempo ho abbandonato la nozione di “normalità”, un’illusione collettiva inafferrabile. Nel momento in cui l’ho fatto, mi sono sentita finalmente libera.
Riferimenti
Questo contenuto è tratto e tradotto da bpHope. Crediamo nell’accessibilità per il pubblico italiano e sosteniamo con forza il lavoro svolto da bpHope per la sensibilizzazione sul disturbo bipolare.